“Parole fertili” e “Modi bruschi”: perché gli uomini non si raccontano

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Articolo di Cristina Cenci sul blog Digital Health, Nòva – Il Sole 24 Ore.

 

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Articolo su Digital Health, Nova – Il Sole 24 Ore di Cristina Cenci

ParoleFertili.it è uno spazio narrativo online per condividere il viaggio alla ricerca di un figlio. In pochissimo tempo sono state donate decine di storie. Cosa ci raccontano? Che sfide ci lanciano? La prima cosa che ci raccontano è un’assenza narrativa: l’uomo non scrive ed è spesso un’apparizione fugace, talvolta amica, talvolta ostile, nel racconto femminile.

Come interpretare questa mancanza di storie maschili? Si potrebbe essere tentati di confondere l’assenza con l’indifferenza o, forse peggio, con un vissuto della PMA (procreazione medicalmente assistita) meno problematico. La prima storia al maschile arrivata su parolefertili, ci aiuta a cercare in altre direzioni. Eugenio Gardella, autore del libro “Sei sempre stato qui” , ha donato a parolefertili.it tre capitoli della sua storia, tutti da leggere. Racconta in un’intervista:

“La nostra cultura ci ha consegnato un terribile retaggio. La vergogna nei confronti della nostra debolezza. Il senso di colpa dovuto al fallimento e alla malattia. […] La nostra è una società che ha sempre voluto uomini duri, macchine pronte al lavoro e alla guerra. Macchine pronte alla conformazione culturale. Io rivendico un diritto con questo libro, il diritto degli uomini, e dei padri, di riprendersi la loro fragilità e la loro forza, la loro libertà e il loro cuore, la loro tenerezza e la loro intelligenza”.

L’antropologo Franco La Cecla ha raccontato questi “modi bruschi” come una componente della costruzione culturale dell’identità di genere, che rischia di diventare una gabbia del maschile e dello sguardo femminile sul maschile. Un maschio richiamato dalla socializzazione, dai film, dalle conversazioni sul bambino e la bambina a incarnare il detto “le parole sono femmine e i fatti sono maschi”. Poche parole e pochi gesti identificano il maschile vincente, il maschile autentico, non contaminato dalle parole e dalle emozioni del femminile.

Attenuati, rielaborati, mitigati nel percorso affettivo all’interno della coppia, i modi bruschi rischiano di riemergere con tutta la loro forza identitaria nella crisi riproduttiva.

Il vissuto di infertilità e sterilità dell’uomo e della donna si àncora a codici simbolici diversi. Gli uomini che non riescono ad avere un figlio si vivono impotenti, le donne vuote e spesso colpevoli. L’uomo ha uno sperma che ha perso la sua potenza di seme creatore, la donna una mestruazione che segna ogni mese un lutto. Di fronte all’impotenza scatta spesso la rimozione del desiderio del figlio e il silenzio, riaffiorano i modi bruschi come segno di un potere del maschile più forte del fallimento. Scrive uno dei rari uomini che prende la parola in un forum online:

“L’uomo vive l’infertilità nella coppia in maniera più “silenziosa”… che spesso esplode nel rifiuto della diagnosi. […] Tendiamo a non pensarci e non ci concediamo di riconoscere e vivere le emozioni relative al problema. […] Certi uomini si concentrano sul lavoro: l’improduttività in un campo viene compensata dalla superproduttività in un altro. [….] In questo caos emozionale, tendiamo ad allontanare il problema per cercare di “digerirlo”, “di assimilarlo” secondo i tempi nostri, totalmente differenti da quelli della donna. [….] Detto questo, cercate anche di capire le nostre sofferenze e i nostri limiti, non abbiate paura di parlare con noi. Siamo fatti così, partiamo lenti, ma se c’è amore, siamo anche gli unici che potranno veramente capirvi e aiutarvi!!!”

Di fronte al “ventre vuoto” che rischia di farla sprofondare nel “niente”, la donna, al contrario, diventa guerriera, lotta con tutti i suoi mezzi per sfuggire la paura di annullarsi come donna e come persona, nell’annullamento della sua capacità riproduttiva. Ce lo racconta Stefi con grande forza su parolefertili.it:

“Negare la vita a chi la sogna è come fermarti il respiro, lasciare che ti chiudano naso e bocca premendoci forte la mano, trovarti a corto di forze e con la testa sott’acqua, muta e senza fiato, a guardare con gli occhi spalancati quello che ti scorre intorno mentre a te non accade niente. “Niente”: sei lettere che a fine corsa quasi sembrano il tuo nome. Perché chi non ha conosciuto i corridoi che portano a questa scelta non sa che alla fine ti senti così: niente. Un contenitore vuoto, un serbatoio gonfio di intrugli che hanno stravolto umori, coppie, sonni… E tutto per niente. Quando le tue braccia vorrebbero solo stringere il tutto di un’esistenza”.

Spesso nel viaggio alla ricerca di un figlio si scontrano le parole delle donne e le parole non dette dell’uomo, in una difficoltà progressiva di relazione che rende il percorso di PMA più difficile, più carico di conflittualità e di fratture, che talvolta neanche la nascita di un figlio riesce a rimarginare.

Ricorda Eugenio Gardella:

“Sai, le dico in un sospiro, ho sempre pensato di dover ignorare e nascondere il mio dolore per poter pensare a te. Lei mi guarda e mi sorride, anche se è stremata. Ma ora capisco, aggiungo, che così ci lasceremmo da soli, ognuno solo, con il suo dolore. […] Parliamo a lungo, ci raccontiamo quello che succede, non ci stanchiamo di farlo e in qualche modo ci sentiamo più forti. Io, raccontando la mia fragilità, ho la sensazione di essermi liberato da una prigione che portavo dentro di me”.

Speriamo che il libro di Eugenio e lo spazio narrativo protetto di parolefertili.it possano aiutare gli uomini a raccontare, a riappropriarsi della parola, come liberazione dalla gabbia dei “modi bruschi”. Le caring narratives online possono forse così diventare un laboratorio per sperimentare progetti identitari diversi di paternità e maternità.

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