Il fallimento della pioniera Jawbone e il ritiro dal mercato di Intel sembrano la prova lampante che i wearable hanno esaurito la corsa. Diversi i motivi: la concorrenza dei prodotti cinesi, il mancato coinvolgimento degli utenti, la mancanza di studi seri sull’affidabilità di questi gadget. Ma forse non tutto è perduto
Eugenio Santoro su Agenda Digitale
L’uso dei wearable per la salute non è poi così promettente. Così deve aver pensato Intel, uno dei giganti dell’informatica e dell’elettronica che negli ultimi anni è entrato in questo mercato attirato dai numerosi report che promettevano grandi successi in termine di vendite, alla fine di luglio, quando ha deciso di chiudere definitivamente la divisione del gruppo che sviluppava dispositivi indossabili per la salute.
Fin dal 2013, anno del suo ingresso in questo settore, Intel aveva creduto nella crescita del mercato dei wearable, investendo molte risorse e rilasciando (forse in maniera troppo incauta) dichiarazioni trionfanti sulla conquista del settore da parte dei suoi prodotti. Ultimo, in ordine di tempo, lo smartwatch Basic Peak, un prodotto lanciato nel 2014 che non ha attirato particolari attenzioni né guadagnato quote di mercato rilevanti e che nel 2016 è stato ritirato al mercato perché si surriscaldava, con il rischio di ustionare chi lo indossava. Non è andato bene nemmeno al suo successore, Basic Ruby, che avrebbe dovuto essere lanciato sul mercato alla fine del 2016 ma che non ha mai visto la luce, perché Intel nel frattempo ha preferito chiudere tutto ricollocando o licenziando l’80% dei dipendenti della divisione wearable. continua a leggere