Uno studio dimostra che le diverse modalità di rapporto attivano precisi, e differenti, circuiti cerebrali. Un passo importante per capire quanto l’empatia possa influenzare il successo di un trattamento. Una relazione medico paziente empatica non solo rende meno gravosa la malattia ma rappresenta una vera forma ausiliaria di cura, arrivando a modificare il funzionamento di complesse reti neuronali attraverso le quali il cervello governa processi decisionali e comportamenti. È quanto emerge dalla ricerca F.I.O.R.E.
Dossier di Danilo di Diodoro su corriere.it
Ricerca realizzata dalla Fondazione Onlus Giancarlo Quarta di Milano con l’Università di Udine attraverso l’utilizzo di una metodica di neuroimaging basata sulla risonanza magnetica funzionale. Chiunque si rivolga al medico, oltre a desiderare di essere trattato secondo principi di provata efficacia, ha bisogno di comprensione emotiva, attenzione e riconoscimento della propria individualità, elementi che contribuiscono al successo della cura. Ma questo è un modello ideale che non sempre si concretizza nelle relazioni reali tra medici e pazienti, strette tra tecnicismi e tempi di visita soffocati. «È per questo che all’interno delle ricerche realizzate dalla Fondazione Quarta è stato sviluppato il Modello relazionale Ippocrates» dice Andrea Di Ciano, coordinatore ricerche scientifiche della Fondazione Giancarlo Quarta. «Un sistema che individua cinque aree di bisogni relazionali che dovrebbero sempre essere garantiti all’interno della relazione terapeutica. Si tratta del bisogno da parte del paziente di comprendere razionalmente quanto sta accadendo; di farsi un’idea del futuro che lo attende; di esprimere adeguatamente le proprie emozioni; di ricevere le necessarie attenzioni, e di arrivare, infine, a prendere le decisioni che la condizione di malattia comporta». Continua a leggere