Osservare le malattie e generare fenotipi digitali attraverso le interazioni che le persone hanno con i loro smarthphone e profili social. Potrebbero essere questi alcuni risultati della rivoluzione digitale in psichiatria. Non mancano però interrogativi etici che questi approcci pongono.
Articolo di Norina Di Blasio su Senti chi parla
L’uso massiccio che facciamo dei nostri smartphone e la frequentazione compulsiva dei nostri profili social potrebbero assumere un ruolo centrale nella rivoluzione alla quale assistiamo anche in ambito sanitario grazie all’avvento delle nuove tecnologie.
Se guardiamo al contesto della salute mentale scopriamo, ad esempio, che in psichiatria la cronologia delle ricerche o i post sui social media possono diventare dati molto informativi, segnali che potrebbero confessare intenti suicidi o primi segni di psicosi. Gli smartphone sono in grado di tenere traccia dei comportamenti quotidiani che riflettono la salute mentale, permettendoci di rilevare l’inizio di una crisi e innescare una risposta terapeutica adeguata, attraverso specifiche app sulla salute mentale.
Quando le persone iniziano a scivolare nella depressione, ad esempio, è possibile che facciano cose tipiche facilmente rilevabili dai microfoni, dagli accelerometri, dalle unità Gps e dalle tastiere di un telefono. Ad esempio, è possibile che parlino con meno persone; e quando parlano, possono farlo più lentamente, dire meno cose e usare frasi più goffe e un vocabolario più ristretto. Possono rispondere a meno chiamate, messaggi, e-mail, messaggi diretti da Twitter e Facebook. Potrebbero alzare il telefono più lentamente, se rispondono, o trascorrere più tempo a casa. Lo scivolare in uno stato psicotico potrebbe mostrare segni simili, nonché particolari cambiamenti nella sintassi, nel ritmo del linguaggio e nel movimento.
“Guardando alla interazione uomo-macchina oggi possiamo creare un fenotipo capace di restituirci una misura ecologica, passiva, oggettiva e continua di una grande mole di dati”, spiega Thomas R. Insel, neuroscienziato e psichiatra americano, che è stato alla guida del National Institute of Mental Health (NIMH) dal 2002 al novembre 2015 e prima direttore fondatore del Center for Behavioral Neuroscience presso Emory University di Atlanta, in Georgia dal 1999 al 2020. Nel 2015 si è dimesso come direttore del NIMH per unirsi alla divisione Life Science di Google X (ora Verily Life Sciences), dove è restato fino al maggio 2017.