Sono circa 7mila i pediatri di famiglia presenti capillarmente sul territorio nazionale, ma – dall’inizio della pandemia – solo il 38% di loro ha effettuato una televisita. Per invertire la tendenza, e colmare i vuoti della telemedicina nell’ambito delle cure primarie, è necessario innanzitutto investire in formazione. Questa la prima delle richieste scaturite nell’ambito del XV Congresso Nazionale della Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP), svoltosi a Baveno (VB).
La telemedicina “rappresenta un’indubbia risorsa da potenziare, come ha dimostrato Covid-19”, ha dichiarato Paolo Biasci, Presidente della FIMP, “tuttavia, se è ancora così poco diffusa, è evidente che esistono dei limiti culturali, strutturali e organizzativi che vanno risolti.”
“Esistono anche problemi strutturali che vanno al di là dell’ambito sanitario, e che rendono difficile l’accesso ai servizi telematici – prosegue Biasci – Alcuni pediatri di famiglia, infatti, lavorano in zone montuose, o comunque molto isolate, dove spesso è difficile avere una connessione sufficientemente potente. Infine non tutte le famiglie sono in possesso di strumenti e conoscenze per accedere ai servizi di telemedicina”.
“La telemedicina fa parte di un ecosistema più ampio con infrastrutture tecnologiche che devono elaborare l’interazione di diversi dati”, prosegue Francesco Gabbrielli, Direttore Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS): “Serve quindi per forza un’organizzazione solida e un centro operativo sanitario per ogni servizio in telemedicina per poter gestire un sistema delicato ma al tempo stesso pieno di grandi potenzialità. Stiamo lavorando in questa direzione anche nell’ambito delle cure primarie e territoriali. Come però spesso accade, all’innovazione e al progresso scientifico-tecnologico corrisponde una lentezza soprattutto a livello normativo. Il Covid-19, i vari lockdown e la costante emergenza socio-sanitaria hanno dimostrato che non c’è più tempo da perdere. Lo stesso vale per la formazione dei professionisti sanitari – conclude – che hanno bisogno di competenze specifiche che tengano conto anche delle esigenze dei loro pazienti”.
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