Nel 2015 sono stati 22 milioni gli italiani che hanno prenotato prestazioni sanitarie sul web. Affrontare il ritardo digitale per incrementare empowerment e e-Health in Italia per risparmiare denaro e tempi d’attesa.
C’era una volta il ticket. C’erano una volta le file, i lunghi tempi di attesa per diagnosi e prevenzione. L’uso delle tecnologie digitali in ambito sanitario può segnare la svolta: è questo l’obiettivo dell’e-health, opportunità che PA e cittadini non possono lasciarsi scappare.
Sebbene il paese registri un evidente ritardo digitale se messo a confronto con la media europea, crescono i numeri delle persone che nel 2015 hanno usufruito dei servizi sanitari online: 12,2 milioni gli italiani che hanno prenotato sul web visite mediche, 7,6 milioni hanno consultato su internet i propri referti medici e 7,1 milioni hanno pagato online i servizi. Questo è quanto emerge da una ricerca realizzata dal Censis, in collaborazione con Arsenàl.IT, Centro Veneto Ricerca e Innovazione per la Sanità Digitale, dal titolo “Cittadini e sanità digitale. L’impatto sociale della digitalizzazione in sanità”.
Ma quali sono i reali vantaggi dell’e-Health per il cittadino? Oltre ad un rinnovato patient empowerment ed education, la collaborazione tra enti pubblici sanitari e pazienti consente al cittadino di consultare le proprie cartelle cliniche elettroniche (electronic health record o EHR) e di utilizzare mobile health app per monitorare lo stato di salute. Senza dimenticare l’azzeramento dei costi per gli spostamenti e lo spreco di tempo.
Best case l’esperienza della Regione Veneto. Il progetto regionale “Sanità a km zero” ha avvicinato i cittadini veneti, di qualsiasi età, all’uso dei sistemi offerti dalla sanità digitale: incentivati dai propri medici, il 60% dei residenti ha scaricato i propri referti via web. I risultati sono sorprendenti: un risparmio di 120 milioni di euro in termini di viaggi e tempo risparmiati, la dematerializzazione di 46 milioni di ricette e il telemonitoraggio di oltre 3.000 pazienti cronici. Il caso veneto dimostra come un’innovazione sanitaria in Italia sia possibile solo se incentivata dai professionisti del settore.