Nasce in Parlamento un gruppo su sanità digitale e terapie digitali per superare gli ostacoli normativi e di regole
Che un principio attivo possa avere non solo le sembianze di una molecola farmacologica o di una terapia cellulare, ma anche quelle di un algoritmo, ormai non suona più come una novità. Anche perché sono passati 14 anni da quanto la prima terapia digitale (in inglese sono le digital therapeutics, Dtx) è stata sperimentata, e sei da quando la Food and Drug Administration statunitense ha formalizzato la sua prima approvazione per un trattamento di questo genere. Eppure, nonostante i paesi guida del settore siano sostanzialmente i nostri vicini di casa – Germania e Regno Unito in testa, oltre agli Stati Uniti – in Italia la situazione resta in un sostanziale stallo, perché al grande chiacchiericcio sul tema fa da rovescio della medaglia l’assenza di un quadro normativo adeguato.
Utile non tanto perché il nostro paese possa accreditarsi come leader del settore a livello globale, ma quantomeno perché possa entrare in partita, anziché auto-limitarsi al ruolo di mero acquirente (anziché di produttore e distributore) di questo genere di terapie.
Qualcosa sembra stia iniziando a muoversi, in proposito, proprio in questi ultimi giorni. In ordine cronologico, a cominciare dall’istituzione di un gruppo interparlamentare ad hoc chiamato Sanità digitale e terapie digitali, in cui le Dtx sembrano rappresentare una parte del più ampio tema della digitalizzazione della sanità.