Le persone anziane sarebbero il target ideale per i servizi di consulto da remoto, ma sono la fascia di popolazione più povera di competenze e strumenti tecnologici
“Il dottore impegnato non sarà in grado di visitare i suoi pazienti come fa ora. Ci vuole troppo tempo e oggi, nella migliore delle ipotesi, può vederne solo un numero limitato”. In modo quasi profetico, nel 1908, Hugo Gernsback scriveva questa riflessione su un futuro non troppo lontano. Gernsback (1884-1967) – che non era un medico, ma aveva un forte intuito e uno sguardo aperto alla tecnologia – fu un vero e proprio pioniere del radiantismo amatoriale e della televisione. Inventore, editore, scrittore di fantascienza (di cui è considerato il padre), arrivò ad immaginare persino le cure “da remoto” per gli astronauti.
Nel 1925, diversi anni dopo quella attenta osservazione, in un articolo della rivista Science and Invention scrive che in futuro tecnologie come la radio avrebbero rivoluzionato la medicina. E così è stato. Anche se non proprio nei modi e con gli strumenti che descrive. Lui stesso aveva teorizzato il “teledattilo”, prima piattaforma di telemedicina in assoluto, per esaminare, diagnosticare e curare i pazienti a distanza grazie a braccia robotiche, un sistema di feedback tattile e il supporto di uno schermo televisivo.
Quando parliamo di telemedicina pensiamo a qualcosa di legato nel tempo e nello spazio alla nostra esperienza. Invece, tutto (o quasi) nasce dalla visionarietà di un lussemburghese naturalizzato americano, innamorato della tecnologia.